Breve storia per immagini della parola “angelo”, da Hermes a Messenger

«And I don’t believe in the existence of angels
But looking at you I wonder if that’s true»
Nick Cave, Into my arms

Diceva Omero che le parole sono “alate” e stiamo per occuparci della più alata di tutte. Tuttavia, se c’è etimologia che non lascia dubbi è questa: cioè che il nostro “angelo” derivi dal greco anghelos.

Non aspettatevi, però, che le due parole abbiano il medesimo significato: sarebbe chiedere troppo allo scorrere dei secoli, al mutare delle cose, delle menti degli uomini e delle loro civiltà. È vero, comunque, che il significato originario si lascia accostare docilmente alla sua ’evoluzione’: anghelos, in greco antico, significa “messaggero”. Per capire meglio questa metamorfosi, lanciamoci in volo su secoli di eventi, pensieri, sentimenti, sulle tracce ontologiche dell’anghelos.
Un messaggero, innanzitutto, ha da essere veloce, anzi velocissimo – ed è qui che gli spuntano le ali. Ottimo se le ha ai piedi, incorporate su calzature divine come quelle del più famoso ambasciatore dell’antichità, il dio Hermes/Mercurio.

hermes
Hermes sun un Lekythos, V sec. a.C. (Metropolitan Museum of Art- New York)

Così quando Zeus ordina a Calipso di sciogliere dal suo abbraccio Odisseo e lasciarlo tornare a casa, non lo fa apparendole di persona ma inviando il fidato Hermes. Il quale, dunque, calza i suoi sandali e in un baleno raggiunge l’isola di Ogigia con il fatale messaggio:
«Basta sesso con il Laerziade. Stop. Lasciarlo tornare subito a Itaca. Stop»
Ancora meglio, però, se le ali aderiscono al corpo, che in questo modo diviene stupefacente mix di uomo ed uccello. È il caso, per esempio, di un altro famoso messaggero: la dea Iris, cioè “iride” che (teniamolo a mente) significa “arcobaleno”.

 

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Iride, Skyphos attribuito al Pittore di Pentesilea

Altro requisito indispensabile per un ambasciatore è essere emanazione di un potere superiore: una città, uno stato, una legge o – meglio di tutto – il Padre di uomini e dèi, come nel caso appena considerato.

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Zeus invia sulla terra i suoi messaggeri Hermes e Iris

Nell’esercizio delle sue funzioni, però, succede al messaggero qualcosa di straordinario. Nel “far da ponte” fra due realtà diverse (gli dèi e gli uomini), finisce col diventare qualcosa di “altro” da entrambe. E in effetti proprio questo essere “né l’uno né l’altro” gli conferisce l’imparzialità che facilita la comunicazione. Ed è qui, appunto, che si tocca il nucleo identitario dell’anghelos: essere intersezione fra due realtà. Il latino userebbe la parola medium che, non a caso, ha avuto fortuna eccezionale in fatto di comunicazione – soprattutto al plurale: media. Anzi, verrebbe quasi la tentazione di rileggere storia e miti del messaggero antico come prefigurazione della moderna linguistica, a partire dal noto schema del suo fondatore, Roman Jakobson:

jacobson_schemaCome Emittente avremmo allora Zeus, Calipso è la Ricevente, il Messaggio è: “Basta sesso con il Laerziade …”; mentre Hermes è il Canale: il medium, appunto, attraverso cui la comunicazione passa.
Il vocabolario latino, del resto, fornisce un’altra chiave d’interpretazione anche più suggestiva, se si riflette sul fatto che “né l’uno né l’altro” si diceva: neutrum. Neutrale”, infatti, deve essere l’ambasciatore che “non porta pena” e “viene in pace”, appunto perché, per statuto, è non schierato e super partes. A questo proposito è interessante fare marcia indietro verso la nostra Iris, per accorgersi che nella dea doveva essere innata quell’idea di pace viva ancora ai nostri giorni.

bandierapace

(Torneremo presto, invece, su un’altra valenza della parola “neutro”: quella che, nelle grammatiche, serve a indicare il genere né maschile né femminile).
Per non lasciare nulla di implicito, termino con la regina delle ovvietà: messaggero è chi porta un messaggio. Ma è Messaggero con la “M” maiuscola, soltanto se il messaggio che porta non è una news qualsiasi (un gol di CR7, l’ultimo flirt della Canalis, inquietudine sul Dow Jones) ma un evento capace di cambiare la vita: nascite e morti, vittorie e sconfitte, malattie e rivoluzioni …
Bene, se questo è l’identikit dell’anghelos antico, siete ormai pronti per vivere l’impareggiabile spettacolo del trasformismo semantico delle parole. Per goderlo meglio, chiudete un attimo gli occhi visualizzando l’immagine di Hermes oppure di Iris. E ora riapriteli nella cascata di luce dell’Annunciazione di Simone Martini.

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Simone Martini, Annunciazione (1333)

Nella creatura alla vostra sinistra, non rivive tutto quanto abbiamo detto del Messaggero? Le ali, innanzitutto, che significano velocità e leggerezza; la sensazione sospesa, ma di pace profonda; la “neutralità” intesa sia come posizione intermedia fra Dio e le sue creature, sia come “terzo” sesso, al di là cioè di femmina e maschio; e poi la provenienza dal Padre, garante dell’autorità del messaggio; e, naturalmente, la potenza sacrale di quest’ultimo, rappresentato nella sorprendente forma di uno dei primi fumetti della storia occidentale:

fumetto

Dunque nel “nuovo” angelo rivive l’antico messaggero. Ma siccome, il cosmo cristiano ora è retto da un Dio di Amore e Provvidenza, anche i suoi ambasciatori ne risultano promossi di grado: da qui l’aureola, i poteri speciali e, soprattutto, il messaggio luminoso e salvifico di una vita eterna dopo la morte.
Ah già, dimenticavo! La cosmologia cristiana è così fatta che dovremmo prendere in considerazione anche ’angeli’ di ben diversa natura: quelli ribelli dell’esercito di Lucifero – lui stesso il più bello e il più splendente degli angeli, prima che si ribellasse a Dio. Ma, dal punto di vista della comunicazione, la loro funzione e il loro significato non cambia, sebbene diametralmente opposta sia la natura del sovrano per cui portano messaggi.

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Bruegel il Vecchio, Caduta degli Angeli ribelli (1562)

Ed è così, dunque (nel Bene come nel Male) che l’anghelos greco si è trasformato in quelli che noi chiamiamo “angeli” (e demoni).
Fine di questa avventura etimologica.
Se non fosse che non ho resistito alla tentazione di digitare quella parola alata sulla striscia-baratro di Google, nella curiosità di conoscere se questa storia avesse qualche sviluppo ai giorni nostri. E, in effetti, una delle prime immagini saltate fuori da quel caos mi ha dato molto da pensare.
Facebook CEO Mark Zuckerberg speaks during his keynote address at Facebook F8 in San Francisco

Internet, Facebook, What’sApp, Twitter … mumble, mumble, mumble …. la verità è che oggi la tecnologia ha quasi ridicolizzato gli antichi “messaggeri”. Le ali digitali dei nuovi media sono molto più veloci, ci circondano molto di più, ci seguono, ci ascoltano, ci spiano ovunque siamo. Sì, viviamo l’epoca in cui i “nuovi messaggeri” – i media – hanno preso il potere sul mondo, globalizzandolo e trasformandolo in un paradiso della comunicazione. E come c’è dolce, ammettiamolo, naufragare in questo mare!

cellulari

Ma ho ancora qui sotto, fra gli appunti, il buon vecchio schema di Jakobson e allora non resisto a quest’altra tentazione: chiedermi quali siano le conseguenze, sul piano “linguistico”, di questo ipertrofismo del Canale, di questa tirannia dei “Messaggeri” che caratterizza i nostri tempi.
Se tutta l’enfasi della comunicazione è spostata sulla vertigine di comunicare sempre, sempre più velocemente e ovunque, una delle conseguenze, per esempio, è che probabilmente si farà molto meno attenzione al Messaggio. Ciò che viene detto – se sia vero, se sia sensato, se abbia una pertinenza e una qualche utilità – diventa secondario rispetto all’ebbrezza e all’esigenza di fare frullare le velocissime ali dei nuovi media. Per di più un messaggero, come sappiamo, deve rimanere neutrale rispetto alle parole che pronuncia, quasi indiferente: bambini che muoiono di fame, sfilate di moda, attentati terroristici, Grandi Fratelli, gol di CR7, flirt della Canalis … tutto con lo stesso peso, tutto nello stesso palinsensto (Mi sa però che questo l’ha già detto qualcun altro, e in modo più brillante: «Il medium è il messaggio»). Senza contare che, paradossalmente, questo accumularsi continuo e indistinto di comunicazione espone al rischio fatale dell’esito opposto: l’incomunicabilità.

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Bruegel il Vecchio, Piccola Torre (1563)

Ma il buon schema di Jakobson ci allerta anche su un ulteriore problema – ancora più serio, direi – di un mondo tiranneggiato dal Canale e irretito nell’oblio degli altri elementi comunicativi. E cioè: chi mai affida il Messaggio ai Messaggeri? Chi è l’Emittente, cioè, e qual è la sua essenza e autorità? E non lo dico solo per noi, poveri Riceventi (a cui tuttavia farebbero piacere, certe garanzie), ma anche per il benessere degli stessi Messaggeri che, come noto, s’intristiscono e incanagliscono se tenuti troppo tempo lontani dalla loro Fonte.

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Fotogramma tratto da Il cielo sopra Berlino (1987)

Per fortuna in questa rubrica ci occupiamo (come possiamo) di trame etimologiche, non certo di teologia: e dunque qui terminiamo – e per davvero.

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