Fiori da taglio (Metamorfosi di Giacinto)

«O figlio, figlio, figlio
figlio, amoroso giglio»
Jacopone da Todi

1. Cattive notizie

La vicina mi entrò in casa spalancando la porta: aveva le mani nei capelli e lacrime che le scendevano copiose sulle guance:
«Tuo figlio, Clio! è successo qualcosa a tuo figlio»
«Giacinto!», gridai come una pazza, mentre il mondo iniziava a girarmi intorno e poi a crollare in pezzi, come un edificio durante un terremoto:
«Dove? Dove, dimmelo!»
«Al pratone delle farfalle, Clio»
Uscii con gli occhi già gonfi di lacrime.
2. Come un fiore reciso dall’aratro

La vidi da lontano, la macchia bianca del suo corpo immobile nel prato fiorito. E subito le mie ginocchia si sciolsero e mi ritrovai a terra anch’io, con il volto premuto sull’erba odorosa. Mi rialzai gridando e, in un attimo ero da lui, lo stringevo al mio seno:
«Figlio, figlio, amoroso mio Giacinto»
Dormiva steso nell’erba, come un fiore. E mentre le mie lacrime cadevano sulle sue fredde guance, lo guardavo e mi dicevo: “I capelli, Clio, hai visto come sono ricci e belli? E le labbra? Esiste al mondo volto più bello?”
Abbracciavo quel corpo senza respiro, come per fondermi ad esso e donargli il mio, di respiro:
«Figlio, perché non mi guardi? Perché non rispondi a tua madre che ti ha allattato?»
Solo quando gli voltai il viso per baciarlo, solo allora vidi la ferita sulla tempia e la macchia purpurea del sangue raggrumato:
«Oh, povera me!, chi è stato? Chi t’ha colpito, figlio mio delicato, figlio bianco e vermiglio che non hai mai fatto torto a nessuno?»
Allora vidi, non lontano da lui, un disco di quelli che usano gli atleti, tutto sporco di sangue; e compresi: «Dèi del cielo, che distinguete al buio ogni singolo filo di quest’erba, ditemi chi è stato, ve ne prego: chi ha reciso questo fiore, chi mi strappa il cuore dal petto?»
In quel momento l’improvvisa raffica di un vento gelido e cattivo mi colpì, gettandomi a terra. Però mi rialzai e – non so con che forza – sollevai il mio Giacinto dalla terra intrisa del suo sangue. Quindi, tenendolo in braccio come quando era solo un bambino, camminai contro quel vento maligno per riportarmelo a casa.
3. Incidente o omicidio?

A casa, distesi Giacinto sul letto e gli lavai la ferita: sembrava dormisse. Nelle stanze si diffondeva un profumo che mi inebriava.
Iniziarono ad arrivare i vicini, a portarmi le condoglianze: allora sorridevo e pareva che fossi io a consolarli:
«Dorme ancora. Ma vedete quanto è bello? Sentite il suo profumo?»
Davanti all’ingresso qualcuno parlava della disgrazia. Diceva che a gettare quel disco maledetto era stato uno dei Celesti – Apollo, sussurrava; ma che, all’improvviso, il cielo s’era oscurato e una maligna raffica di Zefiro – il vento – aveva deviato la traiettoria del disco: «L’ha fatto apposta, Zefiro», aggiungeva, «perché impazziva di gelosia per quei due».
4. Apparizione di Apollo

«Sei pallido, Giacinto: hai forse freddo?»
Io, intanto, non smettevo di accarezzarlo, di parlargli:
«E ti ricordi quando la neve imbiancò la nostra valle?»
I vicini mi osservavano con il cuore gonfio di pena, credendomi impazzita. Ma dentro di me mio figlio era vivissimo: e ben presto ebbi anche la prova indiscutibile che avevo ragione.
Verso il tramonto, infatti, anche il dio Apollo venne a salutarlo. Entrò nella casa, illuminandola di una luce miracolosa; andò nella stanza di Giacinto e si mise ai piedi del suo letto. Eccola, dunque, la prova che mio figlio viveva! Agli dèi dell’Olimpo è vietato stare vicini a ciò che la Morte sfiora: Apollo, invece, lo accarezzava dolcemente, gli parlava come facevo anch’io:
«Tu che mi sei stato così caro, da oggi vivrai per sempre»
Ciò che avvenne dopo quelle parole fu il miracolo che sconvolse la mia vita.
5. La metamorfosi

È difficile dirlo a parole, ma con questi miei occhi io allora vidi… vidi il corpo di mio figlio fiorire! I suoi capelli e il suo volto divennero teneri e profumati petali, le sue braccia e le mani foglie rigogliose e pistilli, mentre il corpo e le gambe si affusolavano in uno stelo robusto di verde pallido. E in un attimo la stanza, la casa e il giardino si riempirono di questo fiore meraviglioso e profumato che non avevo mai visto prima.

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6. Il giardino di Clio

Tanti anni sono passati da allora: io sono invecchiata, la casa è cambiata e al posto del giardino ora c’è un paradiso multicolore di piante che diffondono nell’aria le loro dolci fragranze. Oh, sì, se vuoi andare in giro a dare un’occhiata, ne ho piacere: troverai iris, narcisi, gigli, amarillis, anemoni… ma soprattutto giacinti di tutti i colori, bianchi, azzurri, gialli e arancioni. Anche se i miei preferiti rimangono quelli color porpora.
«Quale è il tuo segreto, Clio?», mi chiede chi viene a trovarmi. Ma non c’è nessun segreto, nessuna magia: solo tanta passione.
Vedi, all’inizio non c’è che un piccolo bulbo privo di colore e profumo – poco diverso da una cipolla. Eppure, anche così tenerlo fra le mani mi commuove: dentro ci sento già le radici, il fusto, le foglie, la gemma apicale e, insomma, tutto il miracolo della fioritura (sì, mi commuovo: come quando ero incinta e, sfiorandomi il ventre, sentivo i calci e le capriole di mio figlio).
Poi, con il tempo e l’attenzione, ho imparato a riconoscere di quanta acqua e luce ha bisogno ogni pianta per sopravvivere durante la dormienza e regalare le sue fioriture più belle. E ora voglio svelarti come faccio (senza tenere per me dei segreti).
All’inizio dell’autunno dissodo la zona più assolata del mio giardino, drenandolo per bene, in modo che l’acqua non ristagni. Per sicurezza, aggiungo un po’ di sabbia, perché morirei se uno solo dei miei bulbi dovesse marcire per eccesso d’acqua. Quindi li ricopro con zolle di terra, annaffiandoli appena, e finalmente mi metto in attesa: una dolce attesa, fatta dei colori e dei profumi dell’autunno.
7. Il vero segreto

Così ormai da anni vengono da molto lontano per i miei giacinti; e mi chiedono: «Qual è il tuo segreto?». E io: «Non c’è un segreto», rispondo loro, «a parte la mia passione».
A meno che proprio quella passione non sia il segreto.
Sì, la passione della madre che ha chiuso gli occhi del figlio, che si è disperata, sentendosi strappare il cuore dal petto, e che poi ha attraversato il tempo portando la croce di un amore che non muore e cercando di risuscitarlo a ogni primavera.
Ma non è una cosa che mi va di dire a tutti quelli che entrano qui. Invece ti racconto volentieri un’usanza con cui le ragazze del paese ricordano la bellezza del mio fiore reciso: un innocente rito che compiono nella speranza di conquistare un amore altrettanto bello.
8. Incantesimo d’amore

In una notte di luna crescente scegli il bulbo di giacinto più bello e mettilo in un vaso, ricoprendolo con qualche manciata di terra. Terminata l’operazione, dai al fiore il nome dell’amato e versaci sopra undici gocce d’acqua, chiamando la luna a testimoniare sul tuo amore. Da quel momento, ogni mattina e ogni notte dovrai annaffiarlo, ripetendo queste parole:
«Germogli il cuore del mio amato, come germoglierà il dolce fiore del giacinto»
Mi raccomando, però: ogni notte e ogni mattina, fino quando il fiore sboccerà.
Se avrai dimenticato di farlo anche una volta soltanto, non sperare che il desiderio s’avveri.
9. Fiori da taglio

Sì, amo queste mie giornate che trascorrono fra piante, fiori e terriccio: il tempo passa e io invecchio serena. L’antica ferita, in cui sembrava sprofondare il mondo, è fiorita.
Solo in due momenti, te lo confesso, i fantasmi del passato tornano ad assalirmi.
Il primo è quando il fiore, portando a termine il suo destino, appassisce. Allora un velo di tristezza avvolge la mia anima come la nebbia fredda cala su un paese. La tristezza, però, non mi impedisce di fare ciò di cui le piante, in quel momento, hanno bisogno. Così attendo che i fiori siano del tutto avvizziti, e solo allora li tolgo. Quindi lascio che il fogliame ingiallisca, affinché il bulbo riformi le sue riserve per rifiorire al meglio l’anno dopo. Solo allora dissotterro il bulbo con la forca, delicatamente, per non ferirlo, e lo lascio a disseccare qualche ora all’ombra, liberandolo dalla terra e da eventuali piccoli bulbi che si fossero formati.
Ben più terribile, però, è il secondo momento, quando cioè, proprio nel pieno della fioritura, la gente viene a chiedermi un mazzo di giacinti:
«Ne vorrei dieci di quelli rossi, Clio: mia figlia compie gli anni e vorrei che la casa si riempisse di quell’odore meraviglioso»
Allora rispondo con un filo di voce; quindi prendo un coltello affilato e mi dirigo in giardino. Poi, mentre mi chino sulle piante, una spina mi trapassa il cuore e allora vedo il suo volto insanguinato e sento la sua voce:
«Madre, sei venuta anche quest’anno?»
«Figlio, amoroso fiore, figlio bianco e vermiglio»
«Perché piangi, madre? Le tue lacrime mi fanno male»
«Non voglio che tu muoia da solo, voglio venire con te – voglio che la terra ci tenga uniti in un solo abbraccio»
«Madre, non dirlo! Devi stare nel giardino e prenderti cura dei fiori»
Quanto tempo mi ci vuole per asciugarmi quelle lacrime!
Per fortuna, però, poi il pensiero torna ai miei bulbi e alla nuova fioritura. Allora mi rassereno, recido i giacinti e li dispongo in un mazzo che curo con le mie mani, perché sia una festa per gli occhi:
«Sono meravigliosi, Clio! Un giorno o l’altro mi dirai il tuo segreto»
Ma l’unico segreto, credetemi, è questa mia passione.

* tratto da Luca Soverini, La ragazza che divenne pesce (e altri miti di metamorfosi), Mursia 2014

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