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Arrivo un po’ tardi, lo so, per dare un contributo al dibattito che ha infiammato la primavera e l’estate di qualche anno fa:
– se può esistere un’Europa senza la Grecia, sua culla culturale;
– se Kant è concepibile senza Socrate;– se la Germania ha pagato i suoi debiti di guerra;
– che cosa ci fanno, poi, i tesori di Atene & C. sparsi nei musei del mondo?
– e Varoufakis, davvero è (era) il più figo dei ministri o solo un bluff?
Arrivo un po’ tardi perché – lo sentite? – adesso è già l’ora del silenzio che i media a un certo punto fanno calare anche sulle questioni più delicate e aperte (come quando – nel secolo scorso -si era all’asilo e dopo gli schiamazzi della ricreazione bisognava mettersi buoni buoni sul banco a dormire). È che soltanto in questi giorni mi sono tornate in mente alcune pagine molto pertinenti (e molto belle) scritte in uno dei miei libri preferiti.
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Il libro è Il signor Mani di Abraham B. Yehoshua e si segnala (primo dei suoi pregi) per una struttura narrativa assai originale – per cui la definizione di “romanzo” zoppica. Si tratta infatti di cinque ’dialoghi a una voce sola’ attraverso cui il lettore fa la conoscenza di cinque “Signor Mani” di epoche storiche diverse. Stratagemma che permette a Yehoshua di rincorrere nei secoli la quintessenza della cultura ebraica.
Il dialogo che ci interessa – quello che fornisce un’interpretazione d’autore del rapporto fra cultura tedesca e cultura greca/egea – è il secondo, incorniciato fra le fiamme e le detonazioni della Seconda Guerra Mondiale, più precisamente quelle dell’invasione tedesca dell’isola di Creta. Ne è protagonista il ventiduenne Egon Brunner che, in qualità di barellista della XI Brigata Paracadutisti della Wehrmacht il 20 maggio 1941 viene paracadutato nei pressi di Iraklion e, dunque, non lontano dal Palazzo di Cnosso. Egon, con la sua miopia e la sua propensione al fantasticare, appare assai lontano dall’idealtypus del soldato del Reich: più che di Hitler, sembra infatti devoto del suo vecchio precettore, Gustav Koch, che gli aveva trasmesso un amore quasi ossessivo per la mitologia e la cultura greca: «è stato lui che ha preteso di gettare la rugginosa catena dell’ancora della storia tedesca in questo mare che adesso hai sotto gli occhi, perché qui, ripeteva sempre, qui si trova il ventre azzurro, caldo e autentico dell’essenza germanica …»
Il comando del Führer di invadere la Grecia, dunque, e quell’essere paracadutato nell’azzurro del cielo-mare di Creta divengono così per Egon una ricerca del santo Graal della identità sua e di tutta la sua nazione. Fin quando, preso contatto con la magia di quella terra ed entrato per caso del Labirinto del palazzo di Minosse, riceve finalmente l’illuminazione:
(La persona cui rivolge il suo discorso è la nonna, Andrja Sauchon)
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«Procedevo nel buio senza meta, guidato solo dallo spirito del vecchio Koch, forse era il suo “grido” quello che aveva echeggiato mentre saltavo dall’aeroplano … Sono passato sopra muretti e fra le vigne, in quell’ostinato stridere delle cicale, e ho fatto sì e no cinque chilometri, che mi sono sembrati trenta. All’improvviso, inaspettatamente, mi sono imbattuto nelle rovine di quel meraviglioso palazzo del Labirinto, che anche se è stato costruito più di tremila e cinquecento anni fa, nonna, e anche se ci sono arrivato con questi miei occhi miopi, l’anima mia ne ha subito compreso il potente significato: mi ci sono immerso appossionatamente, tutto estasiato, salivo e scendevo i gradini di marmo spezzati, passavo da una sala allì’altra, tra le colonne rosso vivo che separano i vani uno dall’altro, fra cui filtrava la fioca luce delle stelle, rivelando negli angoli immensi orci di argilla, di cui perfino al buio si intravvedevano le tinte vivaci. E sui muri, nonna, erano dipinti giovani e fanciulle di corporatura snella, che in lunga fila seguivano uno splendido toro rosso, gigantesco, le cui due lunghissime corna a V avevo già visto infisse sul tetto di una delle case. E allora, in quel profondo silenzio, in quell’oscurità, nonna, mentre camminavo come in un sogno, mi sono d’un tratto sentito tanto vicino al führer, al nostro Hitler, incredibilmente vicino, perché anche se ancora non sapevo dove ero arrivato, avevo già intuito qual era il segreto scopo di questa sanguinosa spedizione, per la quale eravamo stati inviati così lontano. Hitler non cercava gli Inglesi a Creta, e nemmeno una base da cui fosse più facile balzare sul canale di Suez, no, quelle erano solo scuse oper i suoi generali, affinché acconsentissero a ordinare all’esercito di venire fin qui. No, nonna, anche il führer non ha fatto altro che obbedire al maestro di scuola Gustav Koch, e cercare l’antica fonte, a cui ero giunto io, nonna, io, il soldato Egon Brunner, una prima freccia tedesca scoccata da un grande arco, io, solitario conquistatore in quella notte. Perciò mi dissi, nonna: questo è il posto per il quale vale la pena di combattere e fors’anche morire come dice il sesto comandamento …»
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Ecco dunque la fantasiosa ma affascinante visione d’autore sul tanto discusso (e ancora attuale) conflitto Germania vs. Grecia: il popolo tedesco, la cultura razionale ed economa del freddo Nord, fatalmente tende al Sud, al sorriso del suo cielo e del suo ventre marino azzurro; fatalmente agogna al sogno di una vita più leggera.
È quasi imbarazzante, in effetti, rileggere l’avventura del paracadutista invasore Egon Brenner, se contemporaneamente ritorna in mente che, non più tardi dell’agosto di quest’anno, per i noti problemi economici della Grecia, la compagnia tedesca Fraport ha acquisito il controllo di ben 14 areoporti greci:
«Perché noi Tedeschi nel nostro intimo siamo solo dei turisti appassionati, che si trovano a volte costretti a conquistare i paesi che visitano perché nessuno impedisca loro di portare a termine la gita»
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Se poi qualcuno mi chiedesse a quattr’occhi (e facciamo pure sei): «Ma, insomma, in questa lunga querelle, chi ha dato il contributo più geniale?», allora io – ricordandomi che in fundo ci sta bene qualcosa di dulcis – rispondo senza esitazione: «Se non l’avete vista ancora, non perdetevi per nulla al mondo la “Finale dei filosofi” dei Monthy Python!»
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