Il primo turista di Corfù (un tuffo nella geografia omerica)

La nave del nostro Portolano resta attraccata sui fondali di Corfù, e invece viaggia nel tempo addirittura fino a tremila anni circa prima dei Durrell e di Henry Miller. Già, perché l’opera letteraria in cui navigherà questo post è l’Odissea e il turista del titolo è il viaggiatore per eccellenza: Odisseo.
È chiaro che intendiamo affrontare le acque pericolissime e mai calme della “geografia omerica” e stabilire – fra mille marosi – che l’isola di Corfù corrisponde a una precisa tappa del viaggio di quell’eroe. In effetti, in questo gioco di corrispondenze fra reale e immaginario, Corfù/Corcira occupa una posizione di privilegio, dal momento che pochissime altre località le insidiano la corrispondenza con l’omerica Scheria, ovvero l’isola beata del popolo dei Feaci. In suo favore giocano infatti significativi fattori topografaci e, soprattutto, il buon senso: poiché Scheria fu l’ultima tappa del nostos di Odisseo prima dell’approdo a Itaca, era sensato cercare non lontano l’isola corrispondente nella geografia reale.

Scheria1

Gli abitanti di Corfù, poi, esagerando in ottimismo, indicano addirittura il luogo dove il nostro eroe sarebbe stato spiaggiato dopo il naufragio della propria imbarcazione e due giorni e due notti da disperso in mare: sulla costa occidentale, dalle parti di Paleokastritsa, con comprensibile incertezza fra la spiaggia di Glyfada e quella di Ermones – entrambe meravigliose qualora si abbia la fortuna di trovarle non troppo affollate.

scheria3
Rispetto a quel mitico evento, tuttavia, i Corciresi tendono a ricordare soprattutto la parte piacevole e romantica: cioè l’incontro di Odisseo con la giovane figlia del re, Nausicaa. Pubblicità molto meno favorevole all’isola farebbe invece ricordare troppo nei dettagli la parte che interessa al nostro Portolano: e cioè le impressioni del navigatore/nuotatore, le caratteristiche della spiaggia, della costa, del fondale …
In effetti non fu un gran divertimento per Odisseo, bagnarsi in quelle acque: anche se i versi del V libro aggiungono ai suoi exploit atletici di pugile, discobolo, corridore, arciere anche quelli di nuotatore: perché al di là dell’aiuto degli dèi, solo un vero campione avrebbe potuto salvarsi in simili condizioni di mare, davanti a una simile costa:
«Ma quando il terzo giorno portò l’Aurora bei riccioli,
e cessò il vento alla fine, e si fece bonaccia
senza un filo d’aria, allora vicina scorse la terra
molto aguzzando la vista, alzato su da un’onda più gonfia.
Come a figlioli sembra cara la vita
Del padre, che giacque malato, straziato da forti dolori,
languendo a lungo, in preda ad un demone odioso,
e finalmente i numi l’han sciolto dal male;
così a Odisseo sembrò carissima la terra e la selva.
Nuotava impaziente di porre il piede sul suolo.
Ma come fu tanto lontano quanto s’arriva col grido,
ecco udì il rombo del mare contro gli scogli:
urlava l’onda gonfia contro le secche del lido,
sputando paurosamente: la schiuma del mare tutto copriva.
Non v’erano porti rifugio di navi, non baie,
erano punte sporgenti e scogli e roccioni.
E allora si sciolsero petto e ginocchia a Odisseo

Mentre questo pensava in cuore e nell’animo,
ecco un’immane ondata lo trascinò contro l’aspra costiera;
e qui si stracciava la pelle, si fracassava l’ossa,
se in cuore non l’ispirava Atena occhio azzurro:
a due mani, d’un balzo, strinse la roccia,
ci stette attaccato gemendo, finché passò via l’onda enorme.
E così evitò l’onda; ma di nuovo il risucchio
L’attirò con violenza, lo gettò in mare lontano.
Come quando si strappa un polipo fuori dal covo,
mille sassetti ai tentacoli stanno attaccati,
così delle mani gagliarde contro la roccia
si scorticò la pelle: e lo sommerse il gran flutto.
E contro il fato periva il meschino Odisseo,
se non gli ispirava accortezza Atena occhio azzurro.
Riemerso dall’onda – e altre urlando flagellavan la riva –
Nuotò lungo la costa, l’occhio alla terra, a trovare
Spiagge battute di fianco e seni di mare.
Ed ecco alla foce di un fiume bella corrente
Giunse nuotando, e qui gli parve il luogo migliore,
privo di rocce; ed era al riparo dal vento»

(Odissea, V, vv. 399 sgg., trad. R.Calzecchi Onesti)

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