I. Il campione
Il mare era calmo quel giorno, che lambiva la nostra isola bellesponde: navi vocianti di gente s’avvicinavano al porto mentre, all’orizzonte, s’intravvedeva il giocare tra le onde dei dorso-iridati delfini.
E non c’era un alito di vento a scuotere le foglie di palma e i giunchi di papiro e il cielo era tersissimo, di quel rosa intenso e acceso che sorride a primavera, dalle nostre parti: neanche una nube né un piccolo cirro. Sul blu e sul rosso dei prati, i fiori tramortivano i sensi con un alto concerto di odori; mentre tutto intorno, lanciando le loro grida, uccelli di mille fogge danzavano mille voli.
Da tutte le parti, la gente si recava a Palazzo, dove erano previste cerimonie solenni, caroselli, giochi, mercati e ogni altra attrazione per la festa in onore di £$=@&*. Quanto a me, quell’anno avevo avuto l’onore di rappresentare il mio paese nei giochi dedicati alla dea (sono quello a destra nell’affresco del pittore di corte, il famoso %$££§=)
Quando iniziò il combattimento, subito mi feci sotto all’avversario – più agile e svelto forse, ma meno deciso – e per tutto l’incontro tirai di boxe con grande accanimento.
No, non potevo in nessun modo uscirne sconfitto. Poco prima, fra la gente che affollava il mercato, avevo visto la meravigliosa principessa.
Avevo deciso che a lei avrei donato il premio del vincitore: una scimmietta, di quelle mansuete e intelligenti, con il pelo color di lapislazzulo.
Oh, non potrà mai dimenticarla, §&%?£ Rivedo ancoras le sue chiome blu e nere raccolte nella lunga treccia, le sue invitanti labbra di porpora e gli occhi color del cielo; rivedo, come se fosse oggi, la ghirlanda di fiori appena colti che le danzava abbracciata al collo di cigno.
Così che quando, durante le danze per la mia vittoria, per un attimo la sfiorai, quel profumo ancora mi sale alla testa … fossero quei fiori, o il dolce aroma del suo appena-sbocciato petto.
Ma ancora, straniero, non ti ho detto il mio nome. Del resto … non lo senti? L’intera città ne risuona.
II. Lo sfidante
Quando il combattimento ebbe termine, si levò altissimo nel cielo il boato della folla acclamante. In un attimo, tutti si strinsero attorno a %§∞#£&! a decretarne il trionfo. C’era il nostro re, c’erano ammiragli, ufficiali e sacerdoti. E c’era anche §&%£?, la principessa bella come il più bello dei fiori.
Dopo la cerimonia si avviarono in processione al palazzo. Io me ne stavo in disparte e li vedevo allontanarsi lentamente, fino a scomparire – come, da lontano, il mare-sonante inghiotte la piccola nave.
Rimasi lì, solo, in silenzio – avendo la visione del mio mondo che crollava pezzo a pezzo.
Chi ama, ditemelo, lo sconfitto? Chi gli tende, per consolarlo, una mano? Quello che doveva, lo ha già fatto: ha circondato di fama e di gloria il vincitore. Ora gli rimane solo, con la sconfitta, l’agonia di un lento oblio.
Eppure anch’io — come %§∞#£&! — amavo correre sui prati e sulla riva del mare, e mi allenavo cercando ad ogni costo la perfezione del corpo e dei colpi. Anch’io — come %§∞#£&! — avevo esultato dell’onore di combattere per la nostra dea. E anch’io — come %§∞#£&! — amavo la principessa: l’amavo sopra ogni altra cosa, più dell’aria che si respira, più della vita stessa.
E tu mi chiedi il mio nome. Il mio nome non esiste. Non esiste più.
Quale poeta canta lo sconfitto, quale donna ama e ripete con voce instancabile il suo nome? Così il mio ricordo è un continente che si è inabissato, ondeggiando lentamente, ed è stato per sempre sommerso dal mare.
Oh, se almeno un giorno qualcuno potesse, dalle profondità dove giace, riportarlo in superficie, quel nome, restituirlo alla luce del sole! O almeno conservarlo, insieme ad altri relitti, nella teca illuminata di un museo, dove lo sguardo intenerito di un turista potesse — per qualche istante — farlo rivivere ancora.
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