Nello scrivere la sceneggiatura del film premio oscar Mediterraneo, Enzo Monteleone si ispirò a un diario della spedizione italiana in Grecia durante la seconda guerra mondiale pubblicato nel 1953 da Einaudi: Sagapò di Renzo Biasion. Leggendo il libro, in effetti, non è difficile rintracciare scene e temi portanti del film. E già nel primo capitolo (ambientato a Elounda, nell’isola di Creta) emerge il motivo del brav’uomo che si innamora della prostituta e lo spunto per il mondo a parte dei due alpini che decidono di non abbandonare mai la loro postazione di vedetta.
Il tono del libro tuttavia è, comprensibilmente, molto più crudo e i soldati di Biasion sembrano comportarsi più spesso come animali che come uomini — se non per la loro vera natura, per le circostanze cui la guerra li ha costretti. Anche nella loro vita e nei loro cuori, tuttavia, c’è una domenica: arriva cioè un momento in cui una luce illumina le loro miserie e la vita appare come qualcosa di migliore. Ed è lo spettacolo della natura attorno ad Elounda, questo miracolo, e, soprattutto, la meraviglia del suo mare.
«Da qualche spiazzo il mare si scopriva tutto, come un arco teso, dentro al quale penetrava la freccia bianca del promontorio. Con distese d’acqua azzurra o verde, e altre lisce, su cui la luce scintillava.
Gli scogli erano scuri, a linee spezzate e corrose dal salso, e nelle erosioni la schiuma delle onde si introduceva con bolle che il sole faceva scoppiare.
I corvi, scacciati a sassate, si alzavano come nuvole nere. Passavano sopra la testa e qualcuno si posava vicino, col suo becco giallo, da cui usciva uno strido simile a qualcosa che si rompesse.
Ma l’acqua ferma e chiara della piccola baia. Nascosta a tutti gli sguardi, con la rena scaldata dal sole, pulita e vergine di pesta umane, solo segnata dalle zampe leggere degli uccelli. Quando il gruppo arrivava, Scudo già starnazzava nell’acqua come un’anatra spaventata, saltando, correndo, roteando le braccia e lanciando grida da ossesso. Tutto nudo come Dio l’aveva fatto, con le natiche bianche che parevano sostenute dal segno chiaro lasciato sulle spalle dalla cinghia delle giberne. Alcozino e Marruca gli si gettavano addosso e lo ficcavano sott’acqua lasciandolo solo quando non poteva più resistere ed era costretto a bere. Usciva sputando, con gli occhi fuori dalle orbite, tentando disperatamente di scappare. Ma gli altri due lo riacchiappavano subito e lo rificcavano sotto tenendolo fermo per il collo fin che per poco non annegava davvero.
Rotundo si spogliava dietro le rocce e, vergognoso della sua nudità, si bagnava con le mutande, lontano dagli altri, per paura di fare la fine di Scudo.
La ragazza entrava nell’acqua con la tunica indosso e restava pudicamente seduta vicino alla riva, dove i soldati uno per volta la raggiungevano e l’attorniavano. Simile, con solo la testa fuori dell’acqua, a una bianca e molle medusa che qualche uragano avesse sospinto alla costa.
Dopo il bagno si stendevano tutti al sole. Per un pudore quasi incosciente di fronte alla donna anche Alcozino, Scudo e Marruca si coprivano alquanto. Un torpore dolce li prendeva. Alcozino dava ordine a Scudo di cantare …
All’imbrunire risalivano su all’osservatorio ed era bello vedere dall’alto il mare farsi sempre più oscuro e la punta del promontorio allungarsi via via, e diventare di un delicato rosa, come una lunga coscia affondata nell’acqua. E il sole immenso e rotondo schiacciarsi a poco a poco contro l’orizzonte come se qualcuno lo premesse di sopra con le mani, e tramutarsi da giallo in rosso e poi in un violetto cupo che permaneva nell’aria anche dopo la sua scomparsa.
Si fermavano a guardare quello spettacolo in silenzio come colpiti da qualcosa di troppo grande»
Rispondi