Uno dei passi più famosi di tutta l’imponente produzione di Senofonte (e di sicuro dell’Anabasi) è quello in cui i soldati greci al suo comando, stremati dalla lunga spedizione in Asia, conquistano la vetta del monte Teche e da lì hanno la visione che per loro significa ritorno a casa e salvezza (Anabasi IV, 7, 21 sgg.).
«Il quinto giorno pervennero poi a un monte di nome Teche. Non appena i primi giunsero in vetta e videro il mare, levarono alte grida. Nell’udirle, Senofonte e i suoi della retroguardia pensarono che la testa dell’esercito fosse attaccata da altri nemici: alle spalle infatti erano seguiti dalla gente cui avevano incendiato il territorio […] Poiché le grida si facevano più intense e più vicine, i soldati, che man mano giungevano, correvano verso i compagni che continuavano a urlare, e tanto più acuti salivano i clamori quanto più il numero s’ingrossava, per cui Senofonte pensò che si trattasse di qualcosa di veramente grave. Allora scese da cavallo, prese con sé Licio e i cavalieri e corse a prestar soccorso, ma ben presto sentirono i soldati gridare: “Mare, mare”.
La voce rimbalzava di bocca in bocca. Allora anche tutta la retroguardia si mise a correre, mentre pure le bestie da soma e i cavalli vennero spinti al galoppo. Quando furono tutti sulla cima, cominciarono ad abbracciarsi, strateghi e locaghi, tra le lacrime. All’improvviso, chissà per esortazione di chi, i soldati portarono delle pietre e formarono un tumulo enorme»
In un tempo – ormai lontano – in cui Senofonte e “i classici” erano imprescindibili nella formazione culturale dell’uomo occidentale e la guerra una probabilità tutt’altro che remota nella sua vita, è senza dubbio possibile che questo passo sia riaffiorato alla mente di molti sergenti, capitani, comandanti ma anche di semplici soldati impegnati in qualche drammatica operazione di guerra. Soprattutto se il teatro della guerra era il Mediterraneo – o addirittura la Grecia stessa.
Dunque è con una certa emozione che ho letto in Sagapò di Renzo Biasion – sottotenente di fanteria sul fronte greco-albanese durante la seconda guerra mondiale — il brano seguente.
(Come abbiamo già visto qui, Sagapò è il libro che ha ispirato la sceneggiatura del film premio oscar Mediterraneo.)
«Arrivammo alla costa dopo sei giorni di marcia. Eravamo sudati, sporchi stanchissimi. Il mare lo avevamo intravisto due giorni prima, oltre la spaccatura di una montagna: un mare di un azurro così intenso da sembrare una gemma incastonata fra le rocce. I soldati avevano gridato di gioia, perché sembrava così vicino da poterlo raggiungere la sera stessa. Invece il sentiero era disceso all’improvviso, giù nella valle, sempre più giù, facendosi a poco a poco un tratturo quasi impraticabile, ogni tanto interrotto da cespi di agavi enormi, che bisognava ogni volta aggirare con gran perdita di tempo. C’eravamo dovuti attendare nel fondovalle.
Ma poco prima dell’alba, quando ancora eravamo immersi nell’ombra lunare, anche se già il sole dava i primi segni del prossimo avvento, una brezza leggera ci aveva portato il suo sentore, che sapeva dolcemente di alga e sale, e più ancora, di tutte le promesse che entusiasmano i soldati, il riposo, il cibo, le donne, la speranza del ritorno»
In questi casi, lo studioso parla a buon diritto di ’topos letterario’: un brano (quello di Senofonte) per alcune sue caratteristiche si imprime a fuoco nell’immaginario collettivo e, ripreso e resuscitato di autore in autore, si tramanda ai posteri, superando la barriera dei secoli e talvolta dei millenni.
Nel caso specifico, per di più, non è difficile capire come questi topoi della letteratura quasi sempre coincidano o si fondino su ’topoi’ dell’anima: perché anche senza la guerra (per fortuna), anche senza essere soldati, capita a molti di noi, nel rivedere il mare, di provare quello stesso tipo di sentimento — magari meno forte: un vago avvicinamento/ritorno alla propria (vaga) meta.
Indagare questo genere di topoi, però, non è più compito di letterati, ma delle fortunate persone che conoscano almeno un po’ l’abisso delle nostre anime — Socrate, per esempio, o Jung — per fare solo due nomi.
P.S.: ripensandoci, mi sembra che abbia a che fare anche con tutto questo la suggestiva epigrafe che compare sull’ultima inquadratura del film di Salvatores:
“Dedicato a tutti quelli che stanno scappando.”
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