L’11 gennaio del 1898 si spegneva, nella sua casa di Heidelberg, uno dei più grandi studiosi dell’antica Grecia dell’Ottocento (e non solo): Erwin Rohde.
Non so se è ancora così, ma ancora fino a una generazione fa era impensabile fare ricerca sulla cultura greca senza aver letto almeno il più famoso e importante dei suoi libri – i due tomi di:
Con lo sguardo onnicomprensivo che caratterizzava gli studiosi di quel periodo e un’erudizione a dir poco leggendaria, Rohde analizzava in questa ponderosa opera questioni centrali nella cultura dell’uomo greco dai tempi di Omero al tardo ellenismo: la genesi e le trasformazioni del culto delle anime nella religione e nelle altre manifestazioni della cultura – letteratura, arti visive, sport… Un campo di ricerca sterminato, evidentemente, che implicava affrontare temi di fondamentale importanza, e di fascino ancora oggi immutato: l’atteggiamento dell’uomo greco verso la morte, la cura dei defunti, la questione della sopravvivenza dell’anima, l’orfismo e i misteri eleusini, i riflessi di tutto questo nella letteratura, nel teatro e nelle altre arti.
Ma la grandezza e l’originalità di Rohde, a mio avviso, si deducono anche da una scelta, nella sua vita, destinata a suscitare grande scalpore nel mondo accademico e non solo: l’amicizia con Friedrich Nietzsche e l’adesione alle sue rivoluzionarie idee sulla cultura greca.
All’uscita dello ’scandaloso’ La nascita della tragedia dallo spirito della musica (1872), infatti, Erwin Rohde fu uno dei pochissimi grecisti a difendere e anzi elogiare le teorie del geniale collega ed amico, arrivando persino a schierarsi contro il deus ex machina della filologia (e dell’accademia) del tempo: Ulrich Von Wilamowitz-Moellendorff.
L’amicizia tra i due è testimoniata (oltre dalla foto sopra, scattata nel 1871) da un interessantissimo carteggio:
che si conclude, ahimé, con uno dei tristemente noti “biglietti della follia” scritti dal grande pensatore nell’ultimo periodo della sua vita.
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