Nei nostri labirinti quotidiani (MUSEO IMMAGINARIO- Sala XXX)

La sala del Museo Immaginario dedicata al mito del labirinto è uno spazio da hangar, un labirinto essa stessa, dove trovare di tutto – tanto che a volte, entrandoci, mi pare l’ufficio oggetti smarriti di qualche enorme stazione. Impossibile, dunque, procedere per ordine, qui dentro: ci si avvicina, per caso o intuizione, al reperto che più ha attratto la nostra attenzione (e chissà che non funzioni come un oracolo, tutto questo).

Ora, per esempio, accanto alla magnifica teca dedicata al Minotauro del cieco cantore Borges, l’occhio è caduto su un’altra dentro la quale un altro minotauro a figure nere misteriosamente convive con fotografie in bianco e nero di gente sotterrata in una metropolitana – Roma? Milano? NewYork? Chi lo sa?

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1

Pensiamo che i miti andassero di moda solo tanto, tanto tempo fa. Ci tranquillizziamo pensando che, per viverli, ci sia bisogno di terre esotiche, bellissimi dèi ed orribili mostri — come l’uomo muggente dalla testa di toro, sepolto in rimbombanti sotterranei cretesi. All’improvviso, però, in una giornata come le altre, un luminoso dubbio ci assale.
No, non è successo nulla di sensazionale: ci siamo soltanto infilati nella metro e ora siamo alla fermata di Flaminio, o Cadorna, oppure Notre-Dame o Times Square. Le solite scene di fretta, di gente che si mescola, il solito brusio di cento lingue … Bene, e a chi non è capitato, inabissandosi in quei tunnel, di perdere il filo di una conversazione? Magari anche una conversazione importante, qualcosa da cui dipende la vostra stessa vita: il responso della banca sul vostro mutuo oppure, che so?, un’improvvisa dichiarazione d’amore, che non si potrà ripetere mai più).

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E proprio in quell’attimo, mentre gesticoliamo e brandiamo ancora il cellulare nella speranza di essere ascoltati; proprio in quell’attimo sentiamo che è già successo, che da qualche parte, in qualche tempo, in qualche angolo del mondo è già stato vissuto un attimo così. E ci troviamo a domandarci:
«Ma allora dove sono, in verità? Ditemelo voi, vi prego, se esistete: perché non mi oriento più»
E sarà solo l’inizio del nostro monologo, laggiù, in quelle sorde viscere della terra.

2

«Già, perché che cosa cambia? Che cosa non è labirinto, qui? Questi sentieri sotterranei che mi nascondono, forse? Nello smarrimento, ho già perso due coincidenze… O gli incroci di lingue? Non capisco nemmeno le istruzioni sul distributore di sigarette! Oppure, ad ogni passo, questo scorrere di volti nei miei occhi, il sovrapporsi di rumori, e fantasmi virtuali nelle pubblicità… O invece qualcos’altro del tutto diverso, qualcosa che non si vede, che si avverte soltanto. Non lo so. Non lo so più. C’è davvero un’uscita da qui? E come faccio a saperlo, se nemmeno ricordo da dove — e perchè — sono entrato quaggiù?!»

3

E volete saperla un’altra cosa terribile? Che non c’è nulla di più orribile e spaventoso di un nemico che non vedi, non afferri, eppure avverti ad ogni passo, lo senti lì che alita alle tue spalle.
E se c’era mai qualcuno lassù sulla terra per cui valeva la pena sforzarsi di tornare,
neanche per quello c’è campo:
«Pronto?… Arianna, amore mio, riesci a sentirmi? Pronto!!»

4

Sarà proprio in quell’istante che comprenderemo la cosa più stupefacente: che in quei miti lontani non vivono eroi e principesse e mostri, ma solo frammenti di noi: pensieri, eventi, sentimenti intrappolati in quell’eterno caleidoscopio: sempre destinati a ritornare, in una giornata qualunque di una qualunque vita.
(«Perché noi valiamo». Come diceva una vecchia pubblicità).

 

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