Quando si parla del legame fra uomini e cani nel mondo antico, il pensiero va ineluttabilmente ai versi del canto XVII dell’Odissea: un vecchio cane un tempo bellissimo e forte ed ora accasciato sul letame, pieno di zecche e trascurato, scodinzola e guaisce riconoscendo il padrone tornato dopo vent’anni. E il padrone che, non potendo tradirsi nel riabbracciarlo, gli scivola via vicino, tergendosi una lacrima:
«Allora Argo, rivisto che ebbe Odisseo dopo vent’anni,
il destino della nera Moira se lo prese»
Naturalmente ci sono altre testimonianze non meno significative della forza del rapporto che poteva legare il padrone (maschio o femmina, vecchio o bambino) al proprio cane. Una la offre il resoconto, nelle Vite parallele di Plutarco, di uno dei momenti più drammatici ed eroici della storia di Atene: quando cioè, nel 480 a.C., in vista dell’imminente arrivo dell’invincibile esercito persiano di Serse, venne decisa l’evacuazione della città.
[…] Fu allora che Temistocle…propose un decreto per cui tutta la città era messa sotto la protezione di Atena, patrona di Atene, e tutti gli uomini validi dovevano montare sulle triremi, dopo aver posto in salvo ciascuno come meglio poteva i bambini, le donne e gli schiavi. […] Lo spettacolo della città, che, imbarcata sulle navi, lasciava la sponda, suscitava in alcuni pietà, in altri meraviglia per l’ardire di quegli uomini….Pure la vista di molti cittadini, lasciati a terra per la tarda età, stringeva il cuore; e un poco intenerivano l’animo di compassione anche gli animali domestici, che durante l’imbarco correvano qua e là dietro i loro padroni con guaiti affannosi. Tra queste bestiole è diventato celebre un cane di Santippo, padre di Pericle, il quale, non potendo darsi pace che il padrone l’abbandonasse, si gettò in mare e nuoto a lato della sua trireme fino a Salamina; ma appena toccata terra, svenne e morì. Ancor oggi a Salamina vi fanno vedere un luogo, chiamato Tumulo del Cane, ove dicono sia sepolto.
Plutarco, Vita di Temistocle, capitolo X, traduzione di Carlo Carena
Non è da escludere, anche se nulla ci viene detto, che quella tanto onorata tomba fosse abbellita da un epitaffio simile ai molti che la letteratura (e l’epigrafia) hanno tramandato fino a noi (vedi anche qui).

Per esempio questo di Timne nell’Antologia Palatina (VII, 211)
«Qui la pietra sostiene di trattenere il veloce cane di Malta
custode fedelissimo di Eumelo
Tauro lo chiamavano, quando era ancora; ma ora la sua voce
possiedono le silenziose strade della notte»
Una volta tanto però, nonostante la mia conclamata partigianeria, non esiterò a dire che, in questo nobile e ben frequentato genere letterario, la palma del capolavoro non va attribuita ad Omero o a Virgilio — ma a un loro romantico ammiratore. Nel compianto funebre di un amato amico a quattrozampe nessuno mi sembra avere superato l'”Epitaph to a dog” di Lord Byron (1908):
«In questo luogo
giacciono i resti di una creatura
che possedette la bellezza
ma non la vanità
la forza ma non l’arroganza
il coraggio ma non la ferocia
E tutte le virtù dell’uomo
senza i suoi vizi.
Quest’elogio, che non sarebbe che vuota lusinga
sulle ceneri di un uomo,
è un omaggio affatto doveroso alla Memoria di
“Boatswain”,
un cane che nacque in Terranova
nel maggio del 1803
e morì a Newstead Abbey
il 18 novembre 1808.
Quando un fiero figlio dell’uomo
al seno della terra fa ritorno,
sconosciuto alla gloria, ma sorretto
da nobili natali,
lo scultore si prodiga a mostrare
il simulacro vuoto del dolore,
e urne istoriate ci rammentano
l’uomo che giace lì sepolto;
e quando ogni cosa si è compiuta
sul sepolcro noi potremo leggere
non chi fu quell’uomo,
ma chi doveva essere.
Ma il misero cane, l’amico più caro in vita,
che per primo saluta e
e che difende ultimo,
il cui bel cuore appartiene al suo padrone,
che lotta, respira,
vive e fatica per lui solo,
cade senza onori;
e solo col silenzio
è premiato il suo valore;
e l’anima che fu sua su questa terra
gli vien negata in cielo;
mentre l’uomo, insetto vano! ,
spera il perdono, e per sé solo
pretende un paradiso intero.
O uomo! Flebile inquilino della terra per un’ora,
abietto in servitù, corrotto dal potere,
ti fugge con disgusto chi ti conosce bene,
o vile massa di polvere animata!
L’amore in te è lussuria, l’amicizia truffa,
la parola inganno, il sorriso menzogna!
Vile per natura,
nobile sol di nome,
ogni animale ti mette alla vergogna.
O tu, che per caso guardi quest’umile sepolcro,
passa e va’: non è in onore
di creatura degna del tuo pianto.
Esso fu innalzato per segnare
il luogo ove tutto quel che di un amico resta
riposa in pace;
un sol ne conobbi: e qui si giace»
Chi volesse approfondire il tema, leggerà utilmente “Gli epitafi greci per animali” di V. Garulli e questo post del blog LatinoaMilano.
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