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A giudicare da fonti letterarie e archeologiche, nella Grecia antica gareggiare nudi era la norma. Anzi, l’equazione “sport” = “nudo” era così radicata nel mondo antico che la maggior parte delle lingue europee ne porta ancora evidenti tracce: “ginnastica”, infatti, e dunque “ginnico” etc… derivano dal greco “gymnós” che significa, appunto, “nudo”. (Anche “ginnasio”, naturalmente, ma ne sentiremo parlare sempre di meno, in futuro). Ora, la questione della nudità dell’atleta ha profonde implicazioni filosofico-culturali di cui ci occuperemo altrove (si dice così, no?). Qui mi interessano invece il suo mito di fondazione (cioè i racconti su chi fosse il primo a praticarla) e il possibile significato all’atto della performance sportiva.
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È il 720 a.C. e abbiamo trovato un biglietto per l’edizione numero XV dei Giochi di Olimpia. Probabilmente vi immaginavate qualcosa di più scenografico, una maggiore presenza di sponsor e media: ma guardatelo, lo stadio, non è bello da mozzare il fiato proprio così, nella sua solenne semplicità?

Per la precisione è la vigilia di un’attesissima gara podistica: 100 m.? 10.000? E chi lo sa! Quello che conta è che gli atleti sono già ai blocchi di partenza, splendenti di olio e nudità – fatta eccezione per uno straccio di perizoma a coprire i genitali. Così sopra gli spalti cala un silenzio sacrale (ogni cosa qui è illuminata e sacrale, se non l’aveste notato). Squillo di salpinx e VIA. All’inizio tutto pare regolare, ma ben presto il pubblico nota qualcosa di strano in una corsia laterale: c’è un atleta che sta rallentando per sistemarsi il perizoma, o così pare. Pare, ma in realtà non lo sistema: lo scioglie proprio e lo getta via, continuando a correre nudo come mamma l’ha fatto.
«Chi è quel pazzo?», esclama uno spettatore accanto a noi.
«Orsippo di Megara», sussurra da dietro un altro – che forse aveva pure scommesso su un vincitore, invece, da Crotone.
«Orsippo chiiii?»
Fatto sta che Orsippo, di colpo spinto come da un invisibile vento, aumenta la cadenza delle falcate, rimonta gli avversari uno ad uno e va a prendersi la vittoria, nel boato del pubblico incredulo:
«Ma era dato uno a dieci!»
Così, secondo gli antichi Greci, sarebbe nata l’usanza dei loro atleti di gareggiare nudi.

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A raccontare questo plot hollywoodiano — molti secoli dopo i fatti — è Pausania, autore della prima guida turistica sulla Grecia tramandata fino a noi. Che poi commenta così l’evento:
«Credo che abbia lasciato cadere apposta la fascia, sapendo che un uomo nudo corre più libero di uno con la cinta»
Ma davvero il vantaggio della nudità riguarda solo la libertà di movimento? Penso invece che Orsippo scoprì un vantaggio persino maggiore nella mente dell’atleta, prima ancora che nel suo corpo. Mi limiterò a poche parole per un ragionamento che, invece, ne meriterebbe molte di più. In effetti, qualsiasi vestito, anche un semplice slip, è segno della superiore “cultura” che distingue l’homo sapiens sapiens dal resto del regno animale. E fin qui … Decidere di privarsene, ostentando la propria nudità, equivale allora ad un (più o meno consapevole) ritorno a uno stadio animale — con tutto ciò che ne consegue. Di certo tale regressione nella scala evolutiva rappresenta un limite se l’obiettivo è accendere un fuoco, migliorare l’alimentazione, scrivere una lettera alla famiglia o trasformare una massa vociante e disorganizzata in una città dotata di leggi. Ma se l’obiettivo è una vittoria nella corsa, sul ring o in vasca, non è un vantaggio formidabile tornare a sentire, nelle proprie vene, la forza e la feroce volontà di una belva? La loro potenza nei nostri muscoli? Non è quello che ancora oggi pagatissimi coach e personal trainer chiedono ai loro più o meno famosi atleti? «Corri come una gazzella», «mordi come un cobra» oppure: «Fammi vedere l’occhio della tigre». Proprio scoprire, denudandosi, le energie eccezionali di questa dimensione psichica rese invincibile Orsippo quel giorno.
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So di un caso comparabile anche nello sport moderno: è la storia di una nuotatrice australiana che andrebbe ricordata per il suo carattere non meno che per le strabilianti imprese sportive. Dawn Fraser, in effetti, significa tre medaglie d’oro sui 100 m. s.l. in tre diverse olimpiadi (dal 1956 al 1964); significa 41 record collezionati in carriera in diverse distanze e stili. Dawn Fraser, insomma, è il nome onusto di fama di una delle massime interpreti dello sport moderno.

Sembra però che, fuori dalla piscina, la ragazza facesse e dicesse cose un po’ troppo libere per l’immagine che si aveva della donna in quei tempi. Per esempio, quando rilasciò la seguente dichiarazione che — oltre a suscitare in me grande simpatia — sembra appunto fornire un parallelo calzante per la vicenda di Orsippo:
«Ho battuto molti record in carriera, ma molti di più ne avrei infranti se solo i giudici mi avessero permesso di entrare in piscina completamente nuda»
Chi, anche una sola volta, davanti allo spettacolo di una spiaggia solitaria non ha resistito all’impulso di tuffarsi completamente nudo nell’acqua, sa bene di che cosa parlasse Dawn Fraser … e anche anche Orsippo, credo, la sera di quella sua vittoria.
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