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Uno degli incontri di boxe più memorabili del mondo antico ebbe luogo durante le Olimpiadi del 212 a.C. Deve la sua fama non tanto alla leggendaria forza e tecnica del pugile che ne fu protagonista quanto al fatto che questi, a un certo punto dell’incontro (precisamente quando le cose si stavano mettendo male per lui) smise di combattere per rivolgere al pubblico un discorso semplice e illuminante, di grandissima rilevanza politica. Tant’è vero che la cronaca di quell’incontro ci è tramandata da Polibio, ovvero uno degli autori più attenti agli aspetti politici e istituzionali della storia.
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«Clitomaco era considerato un pugile invincibile e la sua fama girava ormai per il mondo intero, quando il re Tolemeo, nell’ambizioso desiderio di distruggerne il prestigio, fece allenare con gran cura e mandò in Grecia il pugile Aristonico, che sembrava avere straordinarie doti naturali per questo sport. Aristonico, giunto in Grecia, scese in campo ad Olimpia contro Clitomaco e, a quanto sembra, la folla si mise subito a sostenerlo e ad incoraggiarlo, contenta nel vedere che qualcuno aveva avuto, una volta tanto, il coraggio di misurarsi con Clitomaco. Quando poi, col procedere della gara, egli cominciò a dare l’impressione di essere all’altezza del suo avversario e riuscì pure ad assestargli, non so dove, un colpo davvero magistrale, scoppiò un fragoroso applauso ed il pubblico cominciò ad incitare in coro Aristonico, invitandolo ad osare senza paura. A questo punto (così raccontano) Clitomaco, ritiratosi per breve tempo dal combattimento, nell’intento di riprendere fiato, si rivolse al pubblico, chiedendo cosa mai significasse quel suo incoraggiare Aristonico e quell’incitarlo a più non posso. Riteneva forse che lui, Clitomaco, non stesse combattendo come si doveva, oppure non si rendeva conto che egli stava lottando per la gloria della Grecia, mentre Aristonico lottava per quella del re Tolomeo? Avrebbe dunque preferito vedere un egiziano battere i Greci e portarsi via la corona olimpica, oppure sentire annunciare dall’araldo che vincitore tra i concorrenti nella gara di pugilato era uno di Tebe o della Beozia? Dopo questo intervento di Clitomaco, il pubblico cambiò atteggiamento, al punto da comportarsi in modo opposto; vale a dire: Aristonico venne contrastato più dalla folla che da Clitomaco stesso» (Polibio, Storie, 27.9.7 sgg.).

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Se ce ne fosse bisogno, questo episodio ci ricorda quanto lo sport sia intrecciato alla politica (e alla guerra), soprattutto in caso di uno scacchiere internazionale dominato da superpotenze con mire imperialistiche: come era il caso, allora, dell’Egitto tolemaico e invece, nell’era delle moderne Olimpiadi, del Terzo Reich di Hitler, prima, e poi dei blocchi che diedero vita alla Guerra fredda. E in effetti la storia della boxe è piena di match che furono prima ‘comunicati e poi vissuti come scontri di civiltà e/o Nazioni: Joe Luis contro Max Schmeling, per esempio, oppure Teofilo Stevenson contro Duane Bobick. Ma il racconto di Polibio mette sotto i riflettori un aspetto più specifico e davvero interessante di questa situazione: il pugile, cioè, che si trasforma in oratore
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In un altro post, avevo avvicinato l’incontro di Clitomaco al quarto episodio della saga di Rocky, in cui gli sceneggiatori — spolverando i fantasmi della guerra fredda (essi pure già piuttosto infreddoliti) — avevano inscenato una sfida mortale fra lo Stallone Italiano e Ivan Drago, pugile-macchina generato dalla disumanizzante società comunista. Per aumentare pathos, dramma ed eroismo, il match era ambientato a Mosca, davanti agli occhi di uno Pseudo-Gorbacev. Alla fine, si sa, Rocky non solo sconfigge il Male, ma addirittura lo converte: al culmine di un sottile processo catartico, infatti, la belva/pubblico acquattata su ogni ordine di palco smette di ululare contro l’icona statunitense, per commuoversi al suo coraggio e schierarsi dalla parte del nuovo eroe dei due mondi. Così Rocky vince per ko tecnico e politico. Esattamente come Clitomaco.
Ecco il suo discorso finale — per chi non lo ricordasse:
Ma se dalla finzione cinematografica torniamo alla vera storia dei pugili olimpionici in cerca di un ‘novello Clitomaco’, cioè di un vero pugile oratore, qualcuno in effetti lo troviamo.
Eccome se lo troviamo: è lui, “il più grande di tutti”
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«Pungi come un’ape, vola con la farfalla»
«Ho lottato contro un coccodrillo, ho lottato con una balena, ho ammanettato i lampi, sbattuto in galera i tuoni. L’altra settimana ho ammazzato una roccia, ferito una pietra, spedito all’ospedale un mattone. Io mando in tilt la medicina»
«Ero così veloce che potevo alzarmi dal letto, attraversare la stanza, girare l’interruttore e tornare a letto prima che la luce si fosse spenta.»
Chi abbia sentito anche solo una volta una conferenza stampa o un’intervista di Alì, ha di sicuro concepito il dubbio che la sua mente danzasse non meno veloce dei suoi piedi. Ma l’incredibile di questo enorme talento pugilistico-retorico è che non indietreggiò mai nemmeno davanti a nemici di categoria enormemente superiore alla sua: la politica, la guerra, la discriminazione razziale, l’omologazione, la vecchiaia e la malattia.
«Cassius Clay è un nome da schiavo. Io non l’ho scelto e non lo voglio. Io sono Muhammad Ali, un nome libero. Vuol dire amato da Dio. Voglio che la gente lo usi quando mi parla e parla di me»;
«Non ho nulla contro i Vietcong. Nessuno di loro mi ha mai chiamato negro»;
«Un gallo canta soltanto quando vede la luce. Mettilo nell’oscurità e lui non canterà mai. Io ho visto la luce e sto cantando»
Non so chi avrebbe vinto, sul ring, fra Clitomaco e Alì.
Ma la corona di pugile-oratore, per fantasia, poesia, ironia e — ancora di più — per la forza e il coraggio con cui affrontò nemici davvero mortali, quella spetta senza dubbio a Mohammad Alì, con verdetto all’unanimità.
E, credo, è destinato a conservarla ancora molto a lungo.
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