Buzzati, il mito di Orfeo e la nascita della graphic novel

Non sapevo che Dino Buzzati, oltre a un posto importante nella storia della letteratura del ’900, ne avesse uno anche in quella della graphic novel. Eppure è così grazie al suo Poema a fumetti, scritto e disegnato nel 1969. Il motivo per cui ce ne interessiamo qui è che la storia traspone nella Milano di quegli anni il mito di Orfeo.

Orfi, infatti, è una rockstar che si esibisce con grande successo nei sotterranei del Polypus.

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“Il suo amore si chiama Eura” e di lei, in realtà, veniamo a sapere pochissimo (come nel mito greco) perché ha appena il tempo di comparire in scena che subito si inabissa nell’Ade milanese di una villa con grande giardino, in via Saterna. Orfi, per puro caso ha assistito all’attimo in cui lei, come un fantasma, ha trapassato il muro di cinta di quella misteriosa villa. E dunque quando, il giorno dopo, viene a sapere della sua morte improvvisa, sa dove inseguirla.

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A questo punto, da un maestro del mistero come Buzzati, è lecito aspettarsi che l’esplorazione dell’Ade sia qualcosa di più che una location esotica e pulp per un drammone d’amore. Nell’antichità Orfeo (mito & culto) ha costituito un momento fondamentale della storia della religione e, in particolare, della diffusione della credenza nella sopravvivenza dell’anima. Buzzati — a differenza di molti librettisti di opere barocche e romantiche — non se ne dimentica e fa in modo che il suo protagonista, a contatto con le creature dell’Aldilà, scopra un segreto essenziale da riportare a chi è ancora in vita. Non intendendo spoilerarlo, mi limiterò a ricordare quello che doveva essere il titolo originale dell’opera nell’intenzione dello scrittore: La cara morte (titolo che, ovviamente, Mondadori si affrettò a cambiare)
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Nemmeno anticipo la fine della vicenda: se è lieta (come spesso nei librettisti) oppure no; né come sia (o non sia) affrontata la famosa scena di Orfeo che, contravvenendo al comando di Ade, si volta a guardare il suo amore. Questa volta davvero per l’ultima volta.
Mi soffermo invece su quello che – fra tutte le riprese a me note del mito – mi sembra il tratto più originale. L’aldilà di Buzzati colpisce per essere (anche) un’orgia di corpi femminili ’vivissimi’, a dire il vero, e sessualmente provocanti.

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Qualcosa di perfettamente in linea con l’industria del soft core che, in quegli anni, si veniva sviluppando, nei fumetti come nelle altre pubblicazioni.

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Ancora un’opera ispirata dalla musa di Eros e Thanatos, dunque? In particolare mi pare notevole il fatto che il passaggio dalla vita alla morte non cambia nulla da questo punto di vista: il lettore, infatti, era stato accolto dalla stessa profusione di nudi anche nella parte terrena dell’opera, per esempio nella canzone che Orfeo dedica alle “streghe della città”.

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Semplificando i termini di una questione molto più complessa, l’Orfeo di Buzzati mi pare testimoniare un culto (ossessione) il cui messaggio è questo: c’è nell’eros qualcosa che permane al di là di Thanatos – su un piano cosmico, se non individuale: ed è questo il segreto della vita che si perpetua. Al tempo stesso Thanatos è l’unica direzione, l’unica fine possibile per chi entra nel tempio di Eros.
Al momento della sua pubblicazione, il Poema fece un grande scalpore per il (supposto) tradimento che Buzzati avrebbe consumato nei confronti della sua precedente produzione. Ma al di là della forma utilizzata, Poema a fumetti evidenzia – proprio in questo ’culto’ – la quintessenza di Buzzati: c’è, infatti, l’ossessione erotica che caratterizza il suo discusso (e appassionante) romanzo Un amore; c’è quell’impossibilità umana di raggiungere una vera soddisfazione che nutre la calma angoscia di Il Deserto dei Tartari; c’è la pesante ombra di un incomprensibile “altro” che fa di un racconto come Il colombre un capolavoro.
Ma il rapporto di Buzzati con Orfeo non si esaurisce in questo poema. In quegli anni, infatti, Fellini gli chiese di collaborare alla sceneggiatura di quello che avrebbe potuto essere il corrispettivo cinematografico del VI libro dell’Eneide o della Divina Commedia: quel famigerato Viaggio di Mastorna che, a dispetto di mille tentativi, rimase invece solo un progetto mille volte ripreso e corretto dal cassetto (e dai sogni/incubi) del grande regista.

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